mercoledì 14 marzo 2012

Bilocale.61


Ci sono delle scatole da portare via, piene di tutto e alcune piene di nulla. Posso assolutamente palpare tutto ciò che potrebbe esserci dentro questi contenitori e immagino dei libri da cui bere verità collassate, dischi in cui si sono spenti e illusi desideri, dizionari per parole mai sentite, oggetti di plastica da poter buttare assieme a dei DVD o videocassette, le miserevoli fallite dal tempo.
Poi ci sono pupazzi reduci di un anomalo amore -questa ingannevole sconosciuta- pesanti come macigni stratificati da pensieri fluidi. Penso di poter vedere persino dei biglietti di un passante ferroviario perennemente in ritardo io, tanto da riuscire ad arrivare in anticipo per il prossimo utile. La sua data -io vedo anche questa- è 13 febbraio 2007. Color pesca è il suo destino. Assieme a questo biglietto non c'è solo un pezzo di carta sbiadita dai giorni che non vogliono far altro che passare; c'è un febbraio dolce col retrogusto amaro, un sole che non posso dimenticare – stranamente presente per essere in una realtà come quella a nord di Milano. C'è addirittura uno sguardo che guardava il vuoto di un altro sguardo; è che nell'errore viviamo solo per imparare poi la soluzione ultima, ingeriti da ingannevoli presagi corrosi da armonie disabili. Io attraverso quel biglietto ferroviario vedo una distorsione che il 13 febbraio 2007 pareva perfettamente retta. Strano come talvolta qualcuno o qualcosa riesca ad andare via, pur rimanendo immobile nei lineamenti di un giovane corpo triste. Ci sono altri biglietti degni di nota, senza data. Provo a immaginare cosa potrebbero suggerirmi biglietti indeboliti da questa loro mancanza; mi insegnano che siamo poco più che date, scanditi dal tempo... regolatore della nostra vita in fiamme. Non solo cose materiali ci sono, per quanto in una scatola ci sia uno spazio determinato. Ci sono amicizie e conoscenze logorate dal tempo che insensibili ci rende. Dentro ci sono pure volti anch'essi logorati. Ci sono parole mai dette che rimangono come lividi per un tempo indeterminato, costretti a sparire solo quando il loro essere cade nell'oblio di un dolore macinato da odori meschini di una legna bruciata fiacca di maestose gioie invernali.
Naturalmente ciò di cui sto parlando non è un trasloco, magari in un bilocale di poco più di sessantuno metri quadri. Ciò che penso di dover traslocare è uno spazio infinito oltre che indefinito, che non possono nemmeno le più auliche parole poter descrivere e fare immaginare alla mente cosa sia. Eppure non è un'azione inconsueta e penso che ciò di cui sto parlando venga fatto ogni giorno da ognuno di noi. Il trasloco è mentale allorché più micidiale perché è una dittatura che mi impone lo sterminio di pensieri che insalubri sembrano apparire. E allora altro non c'è che mettere in scatole tutto ciò e far sparire, dove ancora non si sa ma forse solo perchè non si vuole. Eppure questo istante sfuggì, come sa fare il beato all'orizzonte di un credente. Tutto è destinato a passare e talvolta pensieri vengono abortiti dall'inerzia, spregevole come cani arrossiti dal loro imbarazzo.
In fondo che cos'è la Terra, vista dalla luna, se non un grande sasso?

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